Ginetto Grilli, poeta dialettale sinaghin-bustocco . Per Ginetto è più di una lingua o di un idioma: è un vero stile di vita. « Potrà sembrare strano, ma il dialetto l’ho sempre vissuto – racconta – Sono nato e cresciuto in un ambiente, in una famiglia ed in una comunità (Sacconago) la cui parlata non era un modo per comunicare, ma era la vita. Costringeva a tenere viva la memoria perché le sue espressioni, le sue straordinarie sintesi per descrivere una situazione, venivano trasmesse via orale. Nessuno scriveva in dialetto. Persino le preghiere ce le facevano recitare in dialetto ed eri dunque obbligato a non dimenticarle».
Un mondo dentro
Quel modo di vivere e quel mondo sono confluiti in Ginetto trovando un invaso che dapprima ha raccolto e custodito la sua preziosità e poi l’ha fatta conoscere. «Ho cominciato a scrivere qualcosa sul bollettino parrocchiale nel dopoguerra. Delle storie di Sacconago che è stato Comune fino al 1927. Poi, circa vent’anni fa, mi venne proposto di scrivere sul giornalino del Pro Patria Club che riservava una pagina su Sacconago raccontando aneddoti e cose di questo tipo. Da lì presi coraggio e cominciai con la mia prima raccolta che s’intitolava “Genti da Sinagu”. Più lo studi e lo approfondisci e più fai delle interessantissime scoperte del sui lessico che è ricchissimo di terminologie che riguardano il lavoro e l’agricoltura mentre, per quanto riguarda la sfera sentimentale, trovi pochissime espressioni».
Dopo “Genti da Sinagu”, la produzione si è intensificata negli a venire con altre sei pubblicazioni: “A Camana dul Vitoriu”, “Zibaldone 1” e “Zibaldone 2” in collaborazione con l’altro poeta dialettale sinaghino Mariolino Rimoldi, “Sa gh’è da bel”, “Setas giù un mumentu” e “Vita sinaghina. Racconti e Ricordi”.
Sutu al San Zaril
Sacconago. Le radici, la famiglia, gli amici, le attività con il campanile a fare da riferimento perché «la chiesa, i parroci hanno sempre fatto da traino e non solo per le questioni spirituali, ma investendo anche l’aspetto sociale e culturale di tutto il paese. Per i sinaghini il compito del parroco non si è mai limitato al perimetro della chiesa, ma è sempre andato oltre. Il parroco è stato un consulente, a lui si chiedevano consigli per come fare il testamento ad esempio. La gente è sempre stata attaccata alla chiesa. Il simbolo è la Chiesa Vecchia. La gente è devota al San Cirillo tanto che si sono anche creati dei proverbi. Alla festa, l’urna (pesantissima) del santo veniva portata a spalla da otto uomini, quattro da una parte e quattro dall’altra, dalla chiesa alla piazza sul carro trainato dai buoi. Tra loro non vi era molto spazio, trascinando i piedi più che camminare. Da qui venne coniato un detto. Quando si vedeva un anziano camminare con fatica, trascinarsi, si diceva “l’è sutu al San Zaril”. È sotto o trasporta San Cirillo. È davvero incredibile la ricchezza del dialetto».
E Ginetto sa che ne esiste dell’altra. La sua curiosità lo spingerà a cercarla e statene certi che la troverà.
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