Il mio amore per la lettura è iniziato prestissimo e non mi ha mai abbandonato. Quando, per ragioni di lavoro, ho dovuto lasciare casa e famiglia per lunghi periodi i libri sono stati gli inseparabili compagni di viaggio.
Forse, raggiunta la mia senilità, ero diventato troppo critico e difficile da accontentare. Ma sono sicuro di essermi imbattuto in una serie di romanzi con trame complicate, una serie infinita di personaggi difficili da ricordare (ed un inizio di arteriosclerosi certo non aiutava) e finali scontati.
Una mattina, poco dopo il mio settantaseiesimo compleanno, decisi di tentare di scrivere il romanzo che mi sarebbe piaciuto leggere.
E’ nato così “L’orto fascista” che non è né vuole essere un libro storico o politico. E’ una tragicommedia (più commedia che a volte sfiora la pochade) che si svolge in un paesino della Vallecamonica nel 1943 all’atto dell’invasione tedesca in Italia.
Ho trovato subito un piccolo editore che, senza chiedermi alcun finanziamento, ha pubblicato il mio romanzo. Il successo è stato, piacevolmente ed insperatamente, immediato. I critici del gruppo editoriale “La Stampa” l’hanno addirittura collocato nel sito “Lo Scaffale” ove vengono ospitati solo i romanzi che non dovrebbero mancare in ogni biblioteca famigliare. C’è stato chi mi ha paragonato al “miglior” Vitali e chi al mitico Piero Chiara che avevo avuto il piacere di frequentare durante la mia giovinezza.
Spinto dal successo ho editato anche “Gilberto Lunardon detto il Limena”, “L’oro di Breno” ed “Il sosia” un giallo.
Per festeggiare il mio ottantacinquesimo compleanno è uscito “Don Arlocchi e il mistero della statua di Minerva” che ha avuto una notevole accoglienza, sia di critica che di vendite.
Ora, a quasi 87 primavere e 62 anni di felice matrimonio, ho pubblicato il mio “L’abbraccio”. Un romanzo breve o racconto lungo dedicato a tutte le donne e contro il maschilismo.
Ho un altro paio di romanzi nel cassetto che spero di avere il tempo di dare alle stampe… Ma scrivo ancora, per fortuna! Mia, naturalmente.
I SUOI ROMANZI
Valle Camonica, 1943. Con l’occupazione tedesca, anche a Breno i fascisti hanno rialzato la testa. Nel bar Monte Grappa, tra un torneo di briscola e una bevuta, si ordiscono le trame e si ordisce un piccolo attentato, allo scopo “di dare una lezione ai quei dannati tedeschi”. Non tutto procede per il verso giusto. Persino i collaborazionisti, da don Pompeo alla “Signora Maestra” Lucia, stimata Custode dell’Orto Fascista, vengono coinvolti in una girandola di equivoci. Tra un sidecar che salta in aria e qualche rappresaglia, anche i bambini prendono parte a una singolare tragicommedia che a volte sfiora la pochade.
L’oro di Breno: Breno e la Valle Camonica fanno da corpo e da anima alla trilogia dedicata dallo scrittore alla sua terra d’origine. A chi erano appartenuti i lingotti d’oro ritrovati in Bazena dai due manovali Bortolo e Giacomino nel corso di uno scavo? È quello che cercheranno di scoprire il Russi, confidente dei due, il maresciallo Costamagna, comandante della stazione dei carabinieri, don Arlocchi, coadiutore della parrocchia e Bettino Pedersoli, il “pettegolo” del paese.
In una bella domenica di Agosto un uomo viene ucciso, con un’iniezione, durante la messa nella chiesa di Seefeld. Il cadavere viene mandato per gli accertamenti all’obitorio di Innsbruck, ma durante il trasporto il corpo viene sostituito con quello di un altro assassinato. La Polizia locale non riesce a comprendere quanto successo ed invita a collaborare l’Interpol italiana che riconosce nel cadavere custodito all’obitorio un chimico romano che lavora nel giro della droga. Quando vengono ritrovate, in grave stato di decomposizione, le spoglie dell’uomo avvelenato, gli ispettori scoprono la perfetta somiglianza con un boss della malavita romana che governa gran parte del traffico di cocaina nella capitale. Le indagini si intensificano, ma appaiono da subito forti dubbi
Gilberto Lunardon detto «il Limena»
Finita la guerra, a Breno la vita riprende la sua normalità sino a quando viene consumato un terribile delitto. La responsabilità è attribuita a Gilberto Lunardon, un giovane veneto scappato dalla sua terra non si sa per quali ragioni e da poco giunto in paese. Ai personaggi del precedente romanzo di Ernesto Masina, “L’Orto Fascista”, se ne aggiungono di nuovi che si inseriscono con i loro pregi e difetti nella piccola comunità della Valcamonica.
Don Arlocchi e il mistero della statua di Minerva
“I due tolsero tutte le pietre dal sacco e su ognuna videro o un altro volto, o motivi floreali, ed in ultimo uno più lungo con la scritta “Miner e forse metà della lettera V.” Don Arlocchi rimase a lungo a pensare ma non riusciva a capire cosa potessero significare quegli scritti e quei bei visi scolpiti. Poi, improvvisamente, come in un lampo gli apparve il Tempio Capitolino di Brescia che aveva visitato tanti anni prima durante una gita organizzata dal Seminario nel quale studiava. Era possibile che fossero reperti romani? Ma in Valcamonica? Sì, lui sapeva che i Romani erano passati anche in Valle, ma quelli era andati dappertutto, e non sapeva se avessero lasciato tracce. Comunque bisognava indagare.”
L’abbraccio prolunga e sostanzia l’epilogo di una storia d’amore, attraverso un racconto a due voci in cui i protagonisti – in maniera parallela e quasi speculare – aprono diverse finestre sulla propria intimità, assecondando le direzioni di pensieri, ricordi e suggestioni. È così che la trama, nel succedersi degli eventi, getta luce su dinamiche di coppia – e ancor prima familiari e socio-culturali – improntate su un maschilismo anacronistico che rivela, pagina dopo pagina, tutta la propria inadeguatezza. In tale contesto, Masina riesce a dar voce alle istanze del personaggio femminile in maniera non solo realistica, ma anche profondamente empatica. Il risultato è un quadro di vita che racchiude molteplici sfumature, in cui Lui e Lei – le voci narranti senza volto e nome – diventano progressivamente parte del sentire autentico di ciascun lettore.